Guida pratica per aspiranti game designer (parte dodicesima: presentazione e ricerca di un editore)

Iniziamo subito con una premessa: le possibilità di pubblicare un gioco sono in realtà molteplici. Cercherò di illustrarle brevemente tutte, ma poi mi concentrerò sul canale più “classico”, quello per cui si presenta un gioco a un editore già esistente (e presumibilmente in possesso di un catalogo definito), cui cederemo i diritti del gioco in cambio di royalties sulle vendite.

Ricordate quando ho parlato degli “attori” del settore ludico? Riassumendo, esiste una “catena” che può essere così descritta: a monte c’è il game designer che “vende” all’editore un’idea (più o meno definita) e i diritti di sfruttamento della stessa in cambio di una percentuale; l’editore lavora quest’idea finché non diventa un gioco finito e produce materialmente il gioco, vendendo poi le scatole a un prezzo X a un distributore, che a sua volta si occuperà di vendere nuovamente il prodotto a un prezzo Y ai negozianti (fisici o online), che a loro volta, cureranno la vendita al dettaglio al pubblico (che andrà a pagare il gioco a un prezzo di copertina Z).

Dobbiamo avere chiaro, quindi, che in realtà un game designer ha “target” diversi. Perché il nostro gioco deve sì piacere al pubblico, ma per arrivarci deve prima convincere un editore che, a sua volta, dovrà convincere un distributore e così via.

Per quanto mi riguarda, come sapete io preferisco lavorare on demand: l’editore mi dice cosa vuole, dopo aver già parlato coi distributori o dopo aver fatto indagini di mercato, e concordiamo insieme cosa fare. Fare questa cosa da esordiente, però, può essere davvero difficile perché è comprensibile che un editore non voglia svelare i propri piani editoriali a un signor nessuno, basandosi solo sull’entusiasmo (e non su un curriculum).

Come sa chi ha partecipato ai miei seminari a Lucca Comics & Games, la mia opinione è che un conto è impegnarsi affinché possa avvenire una maturazione dei rapporti autori-editori che vada nella direzione sperata (l’editore chiede, il designer esegue), un altro è tapparsi occhi, orecchie e altri orifizi negando che l’approccio classico rimane il migliore, soprattutto per un esordiente.

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“Sono un game designer e non ho bisogno di farmi un nome!”

Ci sono, in realtà, molte più opzioni di queste: così come alcuni editori sono anche distributori di sé stessi, alcuni distributori hanno anche una divisione editoriale (tagliando un passaggio della filiera), e un designer può anche fare l’editore; molte eccellenze italiane [1] sono nate così, basti pensare agli esordi di Emanuele Ornella, o all’esperienza di editori come Scribabs, Post Scriptum e Cranio Creations. Oggi, rispetto a qualche anno fa, esistono anche forme di finanziamento alternative (come Kickstarter) in cui di fatto l’autore-editore può saltare il passaggio distributivo vendendo direttamente al cliente finale. Farlo comporta pro e contro, e le variabili sono così tante che sarebbe impossibile valutarle tutte in questa sede. Si tratta però solitamente di vere e proprie attività impreditoriali, complesse al punto da coinvolgere anche molte professionalità diverse, mentre adesso stiamo solo ragionando da “game designer”, persone che fanno giochi che altri immetteranno sul mercato.

Prima ancora di cercare materialmente un editore, però, un’attività che può risultare davvero molto utile è partecipare a seminari, corsi o incontri per autori di giochi. Segnalo i corsi di Tambù (nei quali figuro come docente, per cui sono un po’ come l’oste che dice che il vino è buono, ma sono davvero molto ben strutturati, secondo me). Esistono anche gruppi che organizzano eventi dal vivo per autori, e sebbene personalmente li trovi a volte un po’ dispersivi e faticosi [3], penso che siano una tappa se non obbligata quantomeno caldamente consigliabile. Anche frequentare forum o gruppi Facebook in cui si parla (anche) di design, come Autori di Giochi o Giocare Analogico, può essere utile, sempre se vi piace questo tipo di modalità di discussione. Se riuscite anche a ritagliarvi qualche spazio su qualche blog o in qualche associazione (locale o nazionale che sia), per farvi conoscere anche come divulgatori – sempre che abbiate piacere a svolgere questa attività – tanto meglio, viviamo in un’epoca in cui far girare il proprio nome e le proprie idee è solitamente un plus.

Una cosa che mi sento di consigliarvi è quella di partecipare a concorsi (come il Gioco Inedito di Lucca Comics & Games, ma ce ne sono in tutto il mondo), soprattutto quelli che mettono in palio la pubblicazione o che consentono di entrare in contatto con editori e realtà consolidate: dato che spesso i concorsi hanno un target e un tema specifico, sono un’ottima “palestra” per imparare a ragionare partendo appunto da un pubblico di riferimento e da una serie di desiderata. L’unica cosa che vi raccomando è di leggere bene i termini del concorso, perché potrebbe avere restrizioni a livello di cittadinanza, o includere la cessione automatica dei diritti all’ente promotore, o ancora legarvi a uno specifico editore attraverso clausole assolutamente legittime, ma che è bene conoscere in anticipo. Inoltre, all’inizio sarà meglio puntare a concorsi per esordienti, per evitare di dover fare i conti con autori molto più conosciuti ed esperti di noi.

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“…mi sa che le mie chance di vittoria sono drasticamente basse.”

Qui non tratterò in nessun modo il self-publishing, se non per “sconsigliarlo” [2]. Parlerò invece di come, secondo me, ci si può muovere investendo “il giusto”, coniugando la passione per il gioco con attività professionali.

La prima cosa da fare (se ricordate l’ho messa, in precedenza, prima ancora rispetto a iniziare a progettare) è imparare a conoscere il settore in cui andremo ad operare. Quindi, innanzitutto, dovremo sempre avere stampata in testa (o, ancor meglio, in un file) la lista di tutti gli editori che cercano giochi da designer esterni, includendo che generi\target cercano e se hanno particolari linee guida per l’invio dei regolamenti. Non dobbiamo avere paura di chiedere informazioni, via mail o di persona durante qualche evento. Se visitiamo lo stand di un editore solo per presentarci e\o chiedere lumi sulla linea editoriale non serve un appuntamento, che sarà invece assolutamente meglio chiedere nel momento in cui dovremo presentare materialmente una nostra idea. Spero non serva dirlo, ma avere un biglietto da visita con una grafica che non faccia schifo al cazzo vale in ogni settore, incluso il nostro.

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I MIEI OCCHI. COSA HAI FATTO AI MIEI OCCHI? VEDO TUTTO NERO.

Dunque dovremo sicuramente conoscere il catalogo degli editori che andremo a contattare e, di conseguenza, il loro target di riferimento. Presentare un gioco a un editore che non tratta quel genere\tipo di giochi è ovviamente una pessima linea d’azione: la “pesca a strascico” raramente funziona e, dato che abbiamo energia e tempo in quantità limitate, secondo me è molto meglio capire con quali editori vogliamo lavorare e concentrarci su quelli.

Ogni editore ha i suoi metodi di selezione dei giochi, ma in generale è utile avere una scheda descrittiva del nostro progetto, possibilmente arricchita da qualche immagine o esempio (non è necessario che sia graficamente eccelsa, ma se lo è si tratta sicuramente di un punto a favore). La scheda potrà essere inviata agevolmente via mail, o stampata per illustrare il gioco senza dover per forza apparecchiare il prototipo nella sua interezza.

Ognuno realizza le schede come meglio crede, io di solito includo sempre i seguenti elementi:
Dati tecnici (target, genere, durata, numero di giocatori, elenco indicativo dei materiali).
Idea di gioco (descrizione della meccanica principale e dell’ambientazione), anche usando immagini esplicative per far capire come “funzionano” i pezzi principali del gioco: come sono fatte le carte, le tessere, la plancia o altri materiali e in che modo vengono usati. Lo scopo è riuscire a far sì che ci legge riesca a “immaginarsi” almeno in parte il gameplay anche senza giocare, in modo che possa farsi una prima idea del gioco.
Qualcosa che identifichi la unique selling proposition (o “il twist“, come si dice informalmente) del progetto. Che l’effetto sia ottenuto scrivendo o mostrando un’immagine o uno o più materiali, l’obiettivo di questo elemento è quello di far capire subito al nostro interlocutore perché la nostra idea, secondo noi, dovrebbe essere pubblicata, cosa il nostro gioco aggiunge (o migliora) rispetto al mercato attuale. Se non sapete cosa inserire qui, attenzione: probabilmente il vostro progetto manca di quell’elemento fondamentale che lo rende diverso, distinguibile e “migliore” in qualche modo di quel che c’è già. Il mio consiglio è di non presentare giochi privi di elementi innovativi o particolari: non è impossibile pubblicare un gioco privo di un qualsivoglia guizzo di originalità, ma credetemi… è dannatamente più difficile.

Gli editori non vogliono annegare nei prototipi e il tempo a disposizione dello staff per provarli e valutarli è limitato, per cui il mio consiglio è quello di inviare il prototipo solo se è l’editore a chiedervelo espressamente e di non avere fretta aspettando una risposta. Chiaramente, se dopo l’invio non ricevete nessun tipo di risposta, sollecitare almeno una breve notifica di ricezione è più che lecito, basta non diventare stalker e non essere ossessivi (attendere qualche settimana è assolutamente la prassi, ma può anche passare qualche mese se l’editore è piccolo o ha già molti progetti).

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“L’hai provato? L’hai provato? L’hai provato?”

Adesso, la cosa più importante. Dirò una cosa scontata, forse, ma parlando in giro e vedendo cosa la gente dice e scrive, a volte sembra di no. Gli editori sono persone. Sono allegri o malinconici, sognatori o pragmatici, generosi o egoisti, ottimisti o disillusi, come tutti. Hanno ognuno il proprio carattere e il proprio modo di fare, hanno uno stile di vita, convinzioni, idee e giornate storte. Certo, in un contesto professionale il lavoro viene spesso e volentieri prima di ogni altra cosa, ma nessuno di noi è un automa o un clone prodotto in serie. La parte più importante di conoscere gli editori alle fiere consiste proprio nel capire con chi volete lavorare, adattandovi e facendovi il mazzo per riuscirci. Un editore non è né un bancomat in grado di parlare, né una fustellatrice con le gambe, è un imprenditore che ha tanto bisogno della nostra professionalità quanto noi della sua.

Se siete alle prime armi, magari state ultimando adesso proprio il vostro primo prototipo da presentare a qualcuno, vi invito a leggere le mie dieci domande per un aspirante autore: molte cose le avrete lette in questa guida, ma un ripassino relativo alle cose da non fare mai, ma proprio mai mai mai penso sia sempre utile.

Infine, ricordate che dovrebbe essere più che normale, per un autore indipendente (cioè non legato a specifici editori), sia avere la possibilità di mandare lo stesso gioco a più editori, finché non si riceve una richiesta concreta di collaborazione, sia ricevere un anticipo alla firma del contratto di edizione. Ovviamente questo dipende dal rapporto che abbiamo con i vari editori, dal loro target e dal loro mercato di riferimento, ma non c’è niente che vieti a un game designer di mandare una scheda a tutti i potenziali “clienti” (diverso invece è mandare più prototipi, perché significherebbe di norma che abbiamo due trattative in stadio avanzato aperte con due interlocutori diversi, che non è proprio una prassi correttissima). Parimenti, è facoltà di un autore trattare sulle royalties (che a seconda dei casi possono variare), chiedere modifiche al contratto o rifiutare contratti che non offrono nessuna garanzia. Per esempio, quasi sicuramente vorrete togliere un contratto eventuali clausole capestro, come l’obbligo di fare un certo numero di “ore in fiera” per demo gratuite o quello di dover presentare giochi successivi a quell’editore. Sono pratiche che vanno per fortuna scomparendo, ma un controllo non fa male a nessuno. La questione “contratti” ha davvero molte variabili, a seconda del numero di copie stampate, della strategia dell’editore (e della vostra), della presenza di eventuali licenze o collaborazioni con terzi e via dicendo, per cui dovrete valutare caso per caso, magari chiedendo consiglio a qualche autore più esperto.

E questo è proprio l’ultimo consiglio: nessuno “nasce imparato”, per cui se avete bisogno chiedete aiuto. Chiedete informazioni su qualsiasi questione non vi sia chiara, valutate sempre bene le opzioni che vi vengono offerte, diffidate di chi propone soluzioni troppo semplici e siate sempre gentili e fedeli a voi stessi e alle vostre idee e non scoraggiatevi se ogni tanto fallite, perché è normale e si impara molto anche dagli errori.

Con queste ultime raccomandazioni finisce la mia Guida pratica per aspiranti game designer: parafrasando Manzoni, spero che vi sia piaciuta e che sia stata utile, almeno un pochino. Se invece vi avesse annoiato, vi assicuro che non l’ho fatto apposta.

Adesso tocca a voi: scatenate la vostra creatività, lavorate ai progetti avendo bene in mente i vostri obiettivi, studiate teorie, soppesate idee, conoscete persone e presentate al mondo il frutto del vostro lavoro.

[1] …e anche molte immonde cacate, sia chiaro, però direi di limitarci a quelli che “hanno fatto bene”, lasciando chi fa le cose a cazzo di cane a cuocere nel suo insipido brodo.

[2] Lo sconsiglio perché già fare il game designer presuppone un sacco di competenze, di studio e di lavoro. Aggiungere anche le competenze, lo studio e il lavoro di un editore, e magari pure quello del distributore\marketer\illustratore\scultore presuppone la presenza sia di un sacco di talenti\inclinazioni utili, sia la capacità di gestire (o coordinare) un sacco di attività diverse, oltre che implicazioni legali ed economiche non trascurabili. Tutti i self-publisher che conosco a un certo punto hanno deciso di diventare o editori o game designer: chi è rimasto a metà spesso è finito a vendere giochi fuori standard di mercato alla sagra della polpetta, che per carità, magari è una scelta, ma non è assolutamente quello che cerco io, e se è quello che cercate voi mi sa che siete nel posto sbagliato. Fun fact: in Italia si usa spesso il termine “autoproduzione” (anziché tradurre correttamente self-publishing con “auto-pubblicazione” o “auto-edizione”), termine che alle mie orecchie suona terribilmente sciatto e riduttivo, visto che la “produzione” è solo un pezzo dell’intero processo editoriale: magari è un’ardita sineddoche, magari è proprio una vaccata. Fosse il male di “produrlo” saremmo tutti editori, spero che ormai sia chiaro che l’attività di un editore è un filo più complessa di comprare cubetti di legno su Spielmaterial o far stampare professionalmente un mazzo di carte realizzato con word e illustrato dal nostro cuginetto che si diletta con paint. In realtà, negli ultimi anni esistono alcuna alternative interessanti che consentono di “auto-pubblicare” (inteso proprio come self-publishing) in vari modi: per esempio con il già menzionato Tambù si possono creare giochi in print-on-demand o in auto-pubblicazione, chiedendo anche supporto su vari elementi (layout, grafica etc), scegliendo i materiali da una lista usando un builder e avendo una stima di prezzo in anticipo; è chiaro che si tratta di un approccio enormemente più semplice e meno rischioso (soprattutto economicamente) che fare *tutto da soli*, magari avendo scarsissime competenze anche sul fronte produttivo.

[3] Ovviamente parlo a titolo esclusivamente personale: si tratta di un’opinione che deriva dal mio carattere scorbutico, dal mio modo di lavorare e dal mio astio per le cose “dal basso”. In realtà si tratta di eventi che a volte hanno alle spalle grandi professionisti, per cui sono occasioni ottime per testare giochi, discutere e conoscere editori. Sempre secondo me è invece il caso di abbassare un po’ le aspettative nel caso di eventi in cui i promotori non hanno mai pubblicato niente o quasi e che non vedono la partecipazioni di editori conosciuti.

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