Guida pratica per aspiranti game designer (parte settima: il ruolo del giocatore)

Chiedo venia, ci ho messo un po’ a scrivere questo capitolo, ma volevo fare le cose per bene perché è uno di quelli che considero più importanti. Siamo al who: chi sono i protagonisti del nostro gioco? Cosa rappresentano per i giocatori? Abbiamo capito che i giocatori compiranno azioni all’interno del mondo di gioco, affrontando le sfide che abbiamo deciso di proporre loro: ma, concretamente, in che modo interagiscono col mondo che abbiamo creato? Hanno un avatar, rappresentano i leader di qualche gruppo, corporazione o fazione? Sono entità astratte? Devono calarsi in una qualche “parte”? E, soprattutto, come si regolano le interazioni fra giocatori?

Realtà aumentata scànsati.

Pensiamo per un attimo al mondo dei videogiochi. Nel mondo videoludico, comunemente, il giocatore è effettivamente rappresentato da un avatar (un personaggio, di solito) di cui ha il controllo diretto; la cosa “da tavolo” che ci si avvicina di più è il personaggio – rappresentato fisicamente da una miniatura o da una fustella su uno stand up – di un dungeon crawler o il personaggio di un gioco di ruolo [1]. Anzi, nei videogiochi, grazie alla tecnologia motion capture (come WIImote, Playstation Move e XboX Kinect) o di realtà virtuale (Playstation VR, Oculus Rift etc) si può vivere l’esperienza davvero “in prima persona”, abbattendo in modo deciso il confine fra giocatore e avatar. In altri videogiochi, invece, soprattutto se strategici (in real time o a turni) o di gestione tattica di una squadra (come in X-Com e seguiti) i giocatori potrebbero essere governanti, re, generali, imprenditori che guardano “dall’alto” il mondo di gioco, come succede per esempio in molti eurogame in cui, nonostante i giocatori rappresentino principi, costruttori e signori medievali de facto quello che andranno a fare è muovere dei pezzi che rappresentano i loro sottoposti. Se invece il gioco è completamente astratto, i giocatori rappresentano loro stessi e niente di più: pur esistendo uno spazio di gioco con le sue regole e dei pezzi con cui interagire, non esiste un mondo di gioco fittizio composto da personaggi, luoghi e storie con una loro coerenza interna, esistono solo “spazi”, “pedine” e le regole che gestiscono le varie interazioni.

…ma si può comunque fantasticare, no?

Chi conosce già un buon numero di titoli avrà già afferrato il concetto: nel primo tipo rientrano i giochi come Descent o Mage Knight, nel secondo giochi come Puerto Rico o Pilastri della Terra, nell’ultimo tutti gli astratti, come Quoridor o Quarto!. Esistono ovviamente moltissime sfumature: in Outlive abbiamo un “personaggio”, ma comandiamo anche una squadra di sopravvissuti, mente per esempio in Photosyntesis non siamo niente di definito: abbiamo uno scopo (far crescere gli alberi), ma non “siamo” niente se non giocatori che interagiscono con un mondo fittizio (in questo caso una rigogliosa foresta).

Quando si progetta un gioco, secondo me, è bene aver chiaro chi rappresentano i giocatori: in alcuni casi è facile e immediato scegliere “chi sono” i giocatori, in altri è bene prestare un po’ d’attenzione. Se da un lato è vero che non esiste una regola precisa e si può comunque non assegnare ai giocatori un ruolo preciso, soprattutto nel caso di giochi (più o meno) astratti, è anche vero che più le meccaniche e l’ambientazione lavorano “in concerto”, più sarà facile per i giocatori ricordare le regole e “entrare” nel mondo di gioco. Pensiamo agli Scacchi: è indubbiamente un gioco astratto, ma rappresenta comunque una qualche battaglia, e in questo il “ruolo” delle pedine è in molti casi d’aiuto nel ricordare il movimento dei pezzi: il cavallo salta, il re può “arroccarsi” nella torre e così via. Se gli stessi pezzi si chiamassero cono, piramide e prisma sarebbe più difficile ricordare cosa fanno. Ovviamente non è sempre necessario dare un volto preciso al ruolo dei giocatori, ma esattamente come accade per il mondo di gioco, in cui gli elementi che lo compongono possono darci spunti e idee per le meccaniche, avere in mente un’identità per i giocatori può aiutarci a compiere alcune scelte a livello progettuale: permettere ai giocatori solo azioni coerenti col ruolo che ricoprono, oltre a rendere le regole più immediate, ci pone anche dei “paletti” naturali che possono aiutarci a creare un gioco il più coerente possibile. Anche in questo caso è opportuno ricordare che, al netto di eccezioni celebri, quanto più ogni elemento di un gioco converge verso il nostro obiettivo di design, tanto più il gioco sarà coerente con sé stesso e “spingerà” naturalmente verso i kind of fun che ci siamo proposti di esplorare. Rinunciare a ogni tipo di immedesimazione nei personaggi e nel mondo di gioco da parte dei giocatori, invece, può rendere più ostico l’apprendimento delle regole e l’ingresso nei meccanismi di gioco, ma permetterà ai giocatori di godersi il gameplay e le meccaniche al 100%, un po’ come se guardassero un veicolo senza carrozzeria e accessori.

La meccanica dei ruoli di Puerto Rico senza l’ambientazione (no, non è vero).

Personalmente è in questa fase che prendo la maggior parte delle decisioni relative alla gestione dell’interazione fra giocatori. L’interazione è il modo, l’intensità e la frequenza con cui le azioni dei giocatori influenzano il gioco degli altri giocatori; ogni volta che un’azione ha delle conseguenze sul mondo di gioco e\o sui possedimenti o sul ventaglio di scelte degli altri giocatori, si è verificato un qualche tipo di interazione. Non tutte le interazioni sono uguali: anzi, ce ne sono di molti tipi e ogni tipologia presenta diversi gradi d’intensità e sfumature.

Tanto per cominciare, l’interazione può essere diretta o indiretta. Per interazione diretta s’intende quella per cui le azioni di un giocatore influenzano direttamente le proprietà di uno o più giocatori, aggiungendo o sottraendo pezzi, alterando punteggi, rubando o scambiando risorse. Esempi di interazione diretta sono gli attacchi in Risk!, che possono distruggere le truppe avversarie e permettere di “rubare” un territorio a un altro giocatore, ma lo sono anche cose apparentemente meno “violente”, come il mettere una Maledizione nei mazzi avversari in Dominion o l’azione facoltativa di rimettere nel sacchetto un capomastro avversario in Pilastri della Terra. L’interazione indiretta invece influenza le altrui scelte senza però essere esplicitamente rivolta contro le proprietà di qualcuno: piazzare un lavoratore in Caylus, per esempio, riduce il ventaglio di scelte degli avversari senza “toccare” i loro possedimenti. Altri esempi possono essere l’acquisto di un oggetto da un mercato comune o il blocco di una zona percorribile di una mappa. Ovviamente l’interazione non è per forza negativa: è interazione diretta anche un effetto che fa pescare carte a un avversario o, per esempio, è interazione indiretta il piazzamento di una tessera di Carcassonne (nel momento in cui amplia o riduce le possibilità di piazzamento altrui). Sempre in Carcassonne, per fare un esempio un po’ più complesso, per quanto il piazzamento di una tessera generi interazioni tendenzialmente indirette, diventa un caso di interazione diretta se la nostra mossa causa, per esempio, la chiusura di una strada controllata da un avversario con conseguente rientro delle sue pedine.

L’interazione diretta, nello specifico, può essere anche mirata o indistinta: è mirata se prende di mira uno o più giocatori specifici, mentre è indistinta se  colpisce indistintamente tutti i giocatori al tavolo. L’interazione indiretta, non toccando mai le risorse o i possedimenti degli avversari, non può mai essere mirata, ma può diventarlo de facto a livello di dinamica: se, giocando a Pilastri della Terra, vedo che il mio amico Pino ha assoluto bisogno di pietre, e scelgo di prendere l’unica carta che fornisce pietre durante la fase di acquisizione delle carte risorsa, sto usando una meccanica che prevede un’interazione indiretta (la carta non è “di Pino”, è in un pool comune) per causare un danno diretto al mio avversario. Sto cioè agendo a livello dinamico per ottenere un vantaggio che non è esplicitamente regolato a livello meccanico [2]. Nonostante il gioco presenti dunque meccanicamente un tipo di interazione indiretta, Pino rimarrà senza pietre questo turno.

Ed ecco a voi Pino dopo la mia mossa.

Oltre ad essere diretta e indiretta, mirata o indistinta, l’interazione può anche essere volontaria, se il suo verificarsi è del tutto dipendente dalla volontà di un giocatore (come la scelta di attaccare un avversario durante una partita a Kemet, Cyclades o qualsiasi gioco in cui si combatte direttamente), o involontaria, quando questa è, del tutto o in parte, forzata dal sistema di gioco (l’esempio più semplice che mi viene in mente è la cattura nella Dama, ma ci sono parecchi esempi di azioni che producono interazioni e conseguenze indipendenti dalla volontà del giocatore che le esegue: se in Clank! io acquisto una carta e il conseguente refill del pool di carte prevede un potenziamento o un attacco del drago non è certo qualcosa che dipende dalla mia volontà, pur essendo una conseguenza diretta di una mia azione).

Ci sono infine due fattori, difficilmente incasellabili in uno schema semplice, che influenzano pesantemente il bilanciamento [3] del gioco: l’intensità dell’interazione, ossia “quanto” l’interazione influenza il gioco, e la sua frequenza, cioè quanto spesso si verifica l’interazione fra due elementi o fra due giocatori. Entrambi questi fattori, oltre poter fare la differenza al momento in cui il pubblico deciderà se il nostro gioco è un capolavoro o un pastrocchio ingiocabile, possono cambiare radicalmente il gameplay e il comportamento dei giocatori al tavolo. Per fare qualche esempio: prendiamo il sempreverde Dominion: nel celebre deckbuilding game di Vaccarino ci sono due tipi di interazione principale: una indiretta (l’acquisto delle carte, che possono finire e quindi diventare non più disponibili oltre ad essere una delle condizioni che può mettere fine alla partita) e una diretta indistinta costituita dalle carte Attacco, che attivano effetti vari in grado di danneggiare contemporaneamente tutti gli avversari. Innanzitutto, mentre l’interazione indiretta può essere piuttosto blanda, quella diretta è molto controllata: le carte Attacco sono poche, gli effetti possono essere fastidiosi ma occorre reiterarli per farli diventare davvero efficaci, e questa linea d’azione può essere fermata dalle carte Reazione: queste carte costituiscono un’eccezione alla norma generale del gioco (che normalmente prevede di giocare le carte solo nel proprio turno) atta proprio a bilanciare l’interazione fra giocatori.

Esempio di errato bilanciamento: quando la birra nel fusto è molta meno di quella nel giocatore, per il giocatore diventa impossibile vincere.

Sul bilanciamento, come ho detto, torneremo in seguito: ma come si fa, per sommi capi, a ottimizzare l’interazione fra i giocatori? La risposta è una sola: provando il gioco. L’interazione, di qualsiasi tipo, è incentivata e resa interessante da un elemento fondamentale: la scarsità di risorse. Quando un qualsiasi elemento utile alla vittoria (sia esso una risorsa, un’azione esclusiva, un territorio) risulta non sufficiente a soddisfare le necessità di tutti i giocatori, sicuramente i giocatori inizieranno a competere (o a collaborare, nel caso di giochi collaborativi) per ottenerla. Durante l’ideazione e la progettazione del gioco, e ancora di più durante lo sviluppo e i playtest, sarà nostra cura cercare di capire quali sono le risorse da aumentare o diminuire, quali elementi delle interazioni sono troppo forti o troppo deboli, in modo da arrivare a un punto che ci soddisfi. Ricordatevi, come norma generale, che se una risorsa è disponibile in scarsa o scarsissima quantità, la tensione che si genera per procurarsela sale e rende più intenso il gamplay. Si può anche aumentare l’interazione (o diminuirla) utilizzando meccaniche che incentivino dinamiche naturalmente interattive come il bluff o la contrattazione: aste, alleanze e commercio di risorse o informazioni, quando ben regolamentati, sono ottimi sistemi per tenere l’interazione alta e lasciare che il tavolo stabilisca il “prezzo” delle risorse stesse (un buon esempio di questi principi è il gioco da tavola del Trono di Spade: i punti e le risorse sono scarsissimi, si può bluffare combattendo gli altri o fronteggiando i bruti, ci sono aste e alleanze, e il risultato è un gioco con tantissima interazione e moltissimi momenti di “tensione positiva”).

Ormai l’abbiamo imparato, ma lo ripetiamo: anche in questo caso, genere, tipo di gioco e target hanno i loro standard (e questo “standard” può cambiare ovviamente col tempo). Ovviamente cercheremo di farci guidare dal tema che abbiamo scelto e dal nostro gusto (intervenendo magari dopo i primi test), ma giova ricordare che anche in questo caso la conoscenza dei giochi di successo è fondamentale, soprattutto adesso che gli ibridi fra eurogame (che di solito presentano interazione indiretta e non troppo intensa o, se intensa, poco frequente) e american (che invece puntano spesso su interazione diretta, mirata anche molto intensa e\o frequente) sono decisamente popolari.

Per adesso direi che ci fermiamo; aggiungerò un’appendice sul roleplay per parlare della componente di interpretazione di un ruolo dei giocatori, ma per ora rilassiamoci: il prossimo capitolo si occuperà del when, il tempo di gioco, mentre il successivo del what, in cui parleremo delle scelte che faranno i giocatori e di come interagiranno col gioco: unendo tutti i puntini che avremo tracciato, a quel punto, avremo davanti agli occhi, finalmente, il nostro gioco.

Come sempre, se avete domande, suggerimenti o opinioni, scrivetele nei commenti o sulla mia pagina facebook.

Alla prossima!

[1] In particolar modo il personaggio di un gioco di ruolo di cui il giocatore ha il controllo esclusivo, come in Dungeons & Dragons, Apocalypse World, Non Cedere al Sonno, Cani nella Vigna e tutti quei giochi in cui c’è un giocatore che funge da “master” o comunque che ha l’autorità narrativa sul mondo e sui personaggi non protagonisti, e gli altri giocatori che interpretano un personaggio esclusivo. Ci sono anche giochi di ruoli in cui l’autorità narrativa è divisa in modo diverso (e spesso più “equo”), ma ne parliamo un’altra volta!

[2] Ci spendo una parola in più, per chiarezza: la regola (meccanica) del gioco prevede che ci sia un ordine di turno, e che io impieghi le mie risorse (lavoratori) per prendere delle carte che forniranno altre risorse (sabbia, legno, pietra). Le carte sono in un pool comune e limitato. La meccanica, quindi, dice: usa le tue risorse per comprare risorse da una riserva finita. Interagisco col gioco, ma non ho nessuna interazione con nessuno, da regolamento. A livello di dinamica, però, ossia guardando a “i comportamenti che emergono quando i giocatori giocano”, è abbastanza normale che al momento di effettuare quella mossa io lo faccia anche pensando alle conseguenze sugli altri, per esempio e per l’appunto impedendo a Pino di ottenere la pietra di cui ha bisogno. Il “danneggiamento” altrui, in questa fase, non è intrinsecamente insito nelle meccaniche, ma una conseguenza delle dinamiche che emergono al tavolo, che fanno sì che incidentalmente una mia scelta “indiretta” colpisca direttamente un avversario.

[3] Sul bilanciamento ci torniamo, bisogna però che vi dia una definizione sennò rischio di confondervi: nel game design contemporaneo si dice bilanciamento il processo per cui si limano e correggono le regole di un gioco al fine di evitare che uno elemento del gioco sia inefficace rispetto ad elementi suoi pari o dello stesso tipo. Estendendo il concetto, si dice “bilanciato” un gioco in cui i punti di forza di un elemento o di un gruppo di elementi (sia esso un personaggio, una strategia, una risorsa) vengono controbilanciati da un qualche tipo di debolezza (un cooldown più lungo, un costo maggiore, una minore reperibilità) in modo da impedire l’emeregere di strategie troppo vantaggiose (quando non dominanti).

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